Origini e diffusione della Dark Mode
Se pensiamo alla dark mode come a una novità, in realtà stiamo facendo un salto indietro nel tempo. I primi computer degli anni ’70-’80 usavano già interfacce scure (CRT verdi su nero), più per necessità tecnica che per estetica. Poi arrivarono le interfacce chiare (Macintosh 1984), considerate più “naturali” perché simili alla carta.
La rinascita della modalità scura parte con gli schermi OLED (fine anni 2000), che permettono un risparmio energetico reale con sfondi neri. In parallelo, la cultura developer e gamer l’ha resa popolare come scelta estetica e funzionale per ridurre l’affaticamento visivo in ambienti scuri.
E il boom? Lo dobbiamo ad Apple, che ha introdotto la dark mode in macOS Mojave (2018) e iOS 13 (2019), seguita da Google con Android 10. Da lì avviene il salto da scelta tecnica a elemento estetico di mainstream adoption.

Vantaggi e Svantaggi
Come ogni scelta di design, anche la dark mode presenta i suoi pro e contro.
Tra i principali vantaggi c’è sicuramente il comfort visivo in ambienti bui: la modalità scura può risultare meno disturbante grazie al minor riverbero e alla ridotta emissione di luce blu, con un impatto potenzialmente meno negativo sui ritmi circadiani e sull’affaticamento visivo. Alcuni studi hanno infatti osservato un calo significativo della fatica visiva in condizioni di luce ambientale elevata [“]. Un altro beneficio riguarda i display OLED, dove i pixel neri vengono effettivamente spenti, consentendo un risparmio energetico che può arrivare fino al 40% rispetto a uno schermo a sfondo chiaro.
Dall’altro lato, però, non mancano gli svantaggi. Diversi studi hanno dimostrato che la modalità chiara, con testo scuro su sfondo chiaro, favorisce una lettura più rapida e accurata. Questo accade perché le pupille, essendo più contratte, migliorano la percezione dei dettagli [“]. Inoltre, il risparmio energetico non è sempre garantito: una ricerca del BBC Research & Development ha rilevato che l’80% degli utenti tende ad aumentare la luminosità in dark mode, con il risultato paradossale di consumare persino più batteria rispetto alla modalità chiara [“].
Una vera Challenge per i Designer
La dark mode può in alcuni casi ridurre la leggibilità (soprattutto se il contrasto è troppo basso) e creare difficoltà per utenti con problemi visivi. Inoltre, influisce sulla percezione dei colori, complicando l’uso di grafiche e visualizzazioni. Per questo motivo può rappresentare una sfida per i web designer (e un vero incubo per chi si occupa delle newsletter di marketing!).
“Invertire i colori” non basta: la dark mode richiede un design dedicato, test extra e gestione di palette, immagini e componenti duplicati con accorgimenti mirati per garantire leggibilità, accessibilità e coerenza visiva.
Ad esempio, è bene evitare il bianco puro su nero assoluto, poiché il contrasto eccessivo affatica la vista. Un approccio più equilibrato è utilizzare sfondi grigio molto scuro e testi in grigio chiaro.
Un punto fondamentale è seguire le linee guida WCAG 2.1, che raccomandano un contrasto minimo di 4.5:1 per il testo normale. Per verificare questo parametro esistono numerosi strumenti: siti web dedicati, plugin per Figma, oppure i DevTools dei browser, che includono già questa funzione.

Un altro aspetto riguarda i colori: in dark mode appaiono più brillanti, perciò è consigliabile desaturarli leggermente rispetto alla light mode.


Infine, anche la tipografia gioca un ruolo importante:
- Preferire font sans-serif puliti;
- Utilizzare spessori medi (né troppo sottili né troppo bold);
- Aumentare la line-height, per migliorare la leggibilità in condizioni di scarsa illuminazione.
È sempre sensato integrare la darkmode?
Conclusione

Greta Andreini
Apprendista Junior Consultant